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Quando una figlia diventa "madre della madre"

A 52 anni proprio non me lo aspettavo. Di figli ne avevo già due, ormai grandi, proiettati verso un futuro luminoso. Quello verso il quale mi vedevo proiettata anch’io, insieme a mio marito. Con l’intimità ritrovata di una coppia, che, dopo anni votati al bellissimo, ma spesso anche totalizzante, impegno di crescere i propri figli, riscopriva la gioia di riconquistare gli spazi della propria affettività e l’opportunità di poter finalmente coltivare insieme quegli interessi comuni, ai quali così spesso si era stati costretti a rinunciare, per mancanza di tempo o risorse, assorbiti dal ruolo di genitori. Prima fra tutti, la passione per i viaggi. 
E, invece, ecco che mi ritrovo, inaspettatamente, a dover fare i conti con la dolorosa esperienza di diventare “madre di mia madre”, malata di Alzheimer.
Dalle prime, e apparentemente insignificanti, perdite di memoria e piccole sbadataggini, al lento ma inesorabile acuirsi di questi sintomi, alla drammatica conferma della diagnosi e da qui, in un terribile e inarrestabile percorso verso stadi sempre più gravi della malattia, mi sono trovata a dover affrontare un’esperienza di grandissima sofferenza. E poi gli attacchi di rabbia e violenza, la crescente non autosufficienza, fino ad arrivare all’ apice del dolore per chi assiste un malato di Alzheimer: la scelta di doverla ricoverare in casa di cura. Contro la sua volontà, perché anche se lei non era a quel punto più cosciente di nulla, io invece lo ero. E ricordavo benissimo quando, ancora sana, ripeteva a tutti, che in una casa di cura, LEI, non ci sarebbe voluta finire MAI. 
E’ stata ricoverata e assistita per i successivi dieci anni,  di lento declino e di agonia.  
Quando infine se ne è andata, pur nell’immenso dolore per la sua morte misto al senso di colpa di sentirsi forse anche un po’ sollevata, per lei per me, di fronte ad una sofferenza che finalmente finiva, ho potuto portare con me un ultimo prezioso ricordo. Vedere che il suo sguardo, per una volta, la prima dopo moltissimi anni e purtroppo anche l’ultima, tornava per un fugace momento (tanto fugace che, a distanza di anni, ti chiedi se sia veramente successo) a fissarsi su di me, limpido e cosciente. Come se davvero fosse tornata a vederMI.  Proprio nel momento in cui si preparava ad andare via per sempre, era tornata ad essere mia madre. Quella che si preoccupava per me. E si prendeva cura di me. Solo per un attimo. Per congedarsi, lasciandomi con un sorriso sulle labbra.