Sono una Parkinsoniana.
Detta così, la malattia che mi ha colpita, sembra quasi un titolo nobiliare ed
invece, Parkinson, è il nome di un morbo terribile che, insediatosi
silenziosamente nel cervello, giorno dopo giorno ne riduce la funzionalità.
Ecco la mia storia.
“Requiescat in pace”
La voce tremula del vecchio sacerdote mette fine alla tristissima messa che ha
fatto versare molte lacrime ai presenti che ora si stringono intorno alla
piccola bara coperta di fiori.
La morte arriva quando meno te l’aspetti: solo Dio sa il dove, il come, il
quando arriverà, ma se a morire è un bimbo, il dolore è ancor più bruciante e
la partecipazione alle esequie più sentita.
Sulle orme del sacerdote, tutti si affollano intorno ai parenti che paiono
trovare conforto nelle parole appena sussurrate, negli abbracci affettuosi
degli amici che condividono il loro dolore.
Assorta nei ricordi, mi lascio trascinare dalla folla e, senza quasi rendermene
conto, mi trovo davanti alla mia amica, la madre inconsolabile del piccolo che
ci ha lasciato.
Ha gli occhi gonfi di pianto e quasi non si regge in piedi ma riesce a trovare
per me, l’ombra di un sorriso mentre mi stringe in un abbraccio affettuoso.
Profondamente commossa anch’io, l’abbraccio forte mentre mormoro:
- Congratulazioni cara e auguri-
Mi ritraggo inorridita.
I suoi occhi sbarrati mi rendono consapevole dell’enorme lapsus che mi è
sfuggito.
Vorrei sparire, sprofondare sottoterra, ma districarmi dalla folla di amici è
quasi impossibile perciò vado avanti sperando che nessuno mi abbia sentito.
Mi allontano con il viso in fiamme e le gambe che mi tremano al punto che sono
costretta a sedermi in una panchina del parco presso casa . È l’ennesima volta
che mi scappa una parola fuori luogo ed incomincio a pensare che qualcosa non
funzioni nella mia testa.
Mi capita spesso, infatti, parlando del più o del meno, di sostituire una
parola con un’altra con effetti comici che fan ridere tutti ma, quello di oggi
va ben oltre il cambio sbadato di una parola.
Non posso più ignorare che, sempre più frequentemente mi capita di dire cose
senza senso, di non ricordare un nome, neanche quello di una persona carissima
come può essere un figlio, di leggere senza capire il senso di quel che leggo
perché m’incanto su una parola e non vado avanti o di non riuscire a concludere
un lavoro, di cucito o altro, perché mi tremano le mani.
Messe insieme tutte queste che ho sempre considerato “stranezze” formano una
fila lunghissima di errori che incomincia a farmi paura.
Senza parlarne con nessuno contatto un neurologo, una giovane donna che, dopo
una visita accurata, mi consiglia altri esami perché sospetta un “Parkinson”,
una malattia del sistema nervoso, inguaribile, ma che “si può contenere con i
farmaci adatti”, mi spiega, cercando di attutire il colpo che quella diagnosi
mi ha inferto.
Una malattia inguaribile! Il morbo di Parkinson.
La dottoressa continua a spiegare ma altre domande affollano la mia mente. Chi
è questo Parkinson?
Perché c’è una malattia col suo nome?
Una breve ricerca e la mia curiosità è presto soddisfatta.
Parkinson era uno studioso delle malattie cerebrali, malattie di cui si
ignorava tutto e che si manifestavano in forme diverse.
Una specialmente l’aveva colpito per la varietà dei suoi sintomi (particolari:
tremori, colpi di sonno improvvisi, problemi alle articolazioni, difficoltà nei
movimenti ecc.)
A rendere grave questa malattia è la maniera subdola con cui inizia la sua
opera devastatrice.
Infiltrandosi tra le cellule nervose (come ? quando?) incomincia a divorare il
tessuto connettivo che nutre e collega tra loro i neuroni causandone la morte e
provocando quelle disfunzioni, a seconda della zona colpita, che prima o poi
portano all’annullamento completo della personalità e dell’attività fisica e
mentale del malato.
Ecco perché la malattia, presentandosi sempre in maniera diversa non è
precocemente diagnosticabile
Non ci sono risposte certe sul come si sviluppa, su come si può eliminare, ma
dei passi avanti sono stati fatti e, senza nulla togliere agli altri studiosi,
l’opera di Parkinson resta un caposaldo nella lotta contro questa malattia.
Dal triste giorno del funerale del piccolo Giorgio, son passati quasi dieci
anni ed io sono ancora qui a combattere la mia battaglia contro questo nemico
sornione che a volte arretra di qualche passo ed a volte va avanti irruento, in
attesa che nuove conquiste della scienza mettano fine al suo strapotere.