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Lettera di Natale

Carissimi, quest'anno ho sentito il bisogno di scrivervi per farvi gli auguri di Natale, non con il solito bigliettino, ma con una lettera.
Una lettera in cui voglio farvi partecipi delle mie sensazioni e delle mie riflessioni su ciò che la nostra famiglia ha attraversato e ha dovuto affrontare negli ultimi dodici anni.
Dodici anni sono tanti, e per noi, dal 2004 tutto è cambiato ...., da quando un signore , sconosciuto e non invitato, ha deciso di venire a vivere con noi. Discretamente, dapprima, quasi intangibile, c'era, ma subdolamente sapeva rendersi invisibile, tanto che noi, senza dircelo, avevamo deciso che era meglio ignorarlo. Sapevamo il suo nome: Alzheimer, ma fra noi per un mutuo e tacito accordo avevamo deciso di non nominarlo mai. Un modo per esorcizzare la sua presenza, un modo per far finta che non esistesse, un modo per non voler accettare che ci fosse.
.....Ma purtroppo lui era lì presente, di una presenza man mano più invadente. Adolfo non ne parlava, ed io lo spiavo, augurandomi di non scoprire i segni che L'Alzheimer disseminava sempre più frequentemente nelle sue visite.
Vedevo Adolfo che eroicamente combatteva la sua battaglia, da solo, perchè non voleva chiedere aiuto, voleva ribellarsi a tutto ciò che stava avvenendo in lui, ma io vedevo e tremavo.....tremavo per lui, lo seguivo col cuore e con gli occhi e lo aiutavo senza che se ne accorgesse.
Quando non riusciva più a fare le cose che prima faceva con estrema facilità, se possibile mi sostituivo a lui, ma non sempre ero in grado di capire come fare.
E poi L'Alzheimer ha deciso che era arrivato il momento di prendere il sopravvento su di lui, coinvolgendo tutti noi.
Adolfo lottava ancora, ma quando la consapevolezza di non poter fare più tutto quello che faceva prima è diventata una ineluttabile verità, allora è esplosa la sua rabbia. Non voleva accettare quella verità e nel subconscio cercava scuse per giustificare il fatto di non essere più in grado di scrivere, di disegnare, di adoperare il computer, di fare qualcosa che lo impegnasse mentalmente, e allora cercava scuse; cercava qualcuno da colpevolizzare per ciò che gli stava capitando.
Ed ero io quella su cui scaricare tutte le tensioni e tutte le colpe per ciò che gli succedeva.
Ma anch'io mi ero preparata a combattere il signor Alzheimer, e sapevo che sarei diventata il suo capro espiatorio, sapevo...... perchè mi ero documentata, non avevo perso tempo, avevo letto libri, partecipato a gruppi che trattavano questo argomento, per un certo periodo, quando ancora avevo autonomia di movimento (poi è arrivato un momento in cui non potevo più lasciarlo solo) avevo anche fatto parte di un gruppo di volontari che una volta alla settimana per due ore intrattenevano i malati in un centro di sostegno, credevo di poter affrontare tutto, di essere pronta a tutto.
Il legame che unisce me e mio marito è un legame profondo, radicato, fatto di amore, di stima, di rispetto per la libertà individuale, di fiducia, avevamo costruito il nostro rapporto con basi che avrebbero saputo reggere i terremoti che la vita ci avrebbe fatto affrontare, senza crolli definitivi, le tempeste non ci speventavano, e quando abbiamo dovuto affrontare le bufere che ci sono in ogni matrimonio, abbiamo sempre saputo capire che non avremmo potuto vivere l'uno lontano dall'altro. Il nostro amore ne usciva rafforzato e le piccole cicatrici si rimarginavano subito, abbiamo sempre camminato mano nella mano e mai avremmo immaginato di essere impreparati ad affrontare L'Alzheimer.
La nostra unione ci sembrava una roccia, la nostra vecchiaia era pianificata .....dovevamo godere l'uno della vicinanza dell'altro, quando lui lavorava ( è stato caporedattore di un quotidiano) i suoi orari ci impedivano di fare ciò che le altre coppie potevano fare ogni giorno: uscire insieme, avere la domenica libera per fare una gita, andare al cinema o a teatro insieme, tutte cose che avevamo messo da parte per quando, arrivata la pensione, avremmo potuto fare insieme.Tutto stabilito, tutto già pensato. Ma nessuno avrebbe mai potuto pensare alla devastazione che porta L'Alzheimer in una famiglia.
E così sono arrivati i momenti bui, quelli che non auguro a nessuno, quelli che sono fatti per distruggere sia il malato che chi assiste il malato. Gli ultimi tre anni, quelli prima del ricovero, sono stati anni terribili, tre anni che ci hanno devastato e che hanno lasciato in ognuno di noi cicatrici profonde.
In nostra figlia che ha dovuto assistere incredula e spaventata all' inaudita violenza del padre nei miei confronti e alla indifferenza totale nei suoi confronti, tanto da non potergli in alcuni momenti neppure accarezzargli la mano. Abbiamo dovuto riconoscere di non avere la capacità di poter fare qualcosa, quando lo vedevamo girovagare senza meta, alla ricerca di non si sapeva cosa. Temevamo di non riuscire a ritrovarlo durante il nostro vagabondare in giro per la città quando riusciva a scappare, perchè sapevamo che non avrebbe saputo riltrovare la strada di casa. Era arrivato il momento che avevo paura anche di andare in bagno per timore che uscisse. Oppure uscivo con lui e vagavamo senza meta per ore ed ore, io su un marciapiede e lui sull'altro (che non mi voleva più vicino) con la preghiera che non gli venisse in mente di attraversare mentre il semaforo era rosso, e quella volta di notte che dopo aver camminato tutto il pomeriggio fino a sera ho dovuto chiamare il 112 ( ormai mi conoscevano tutti e riconoscevano il numero : " Signora......... che succede stavolta? ) ....e poi la solita trafila: arrivavano prima i carabinieri e se lui non era collaborativo arrivava l'ambulanza, ore e ore al pronto soccorso, poi piccolo ritocco alla terapia e ritorno a casa con lui più agitato di prima.
E se nascondevo le chiavi di casa calci e urla, contro di me, contro i muri ....quadri, libri e tutto ciò che gli capitava sotto mano, ero la sua carceriera ero una sconosciuta che gli impediva di uscire. Giornate da incubo, notti insonni, pregando che dormisse un po' di più, e agognando un po' di calma.
Durante queste crisi le sue labbra diventavano viola ed io avevo paura che gli venisse un infarto oppure un ictus.
Perchè vi racconto tutto questo?
Voi siete la famiglaia di mio marito e io vi considero la mia famiglia, e dopo avervi raccontato "il prima" ora voglio che conosciate anche il seguito di questa nostra storia.
Abbiamo dovuto ricoverare Adolfo.......giorni traumatici per tutti noi, i ritmi di vita cambiati. Io andavo la mattina, di pomeriggio arrivava Raffaella dopo aver lasciato la bambina dall'altra nonna
Giorni in cui il solo entrare nel reparto ci faceva piombare nella disperazione più cupa e più profonda , giorni in cui non volevamo accettare il ricovero, ma sapevamo che non c'era altra alternativa, giorni in cui il distacco da mio marito quando la sera tornavo a casa equivaleva per me ad una perdita simile alla morte. La notte non dormivo, la casa mi era nemica, non era più la "nostra casa" , il ricercare una presenza nelle sue cose e ricacciare indietro le lacrime perchè ogni cosa mi parlava di lui. Ma tutto questo stress si paga e il primo dell'anno esattamente 38 giorni dopo il ricovero di Adolfo è arrivato per me l'infarto a rimettere le cose a posto. Ho capito che non avrei più potuto andare avanti così, non potevo star male, Mio marito aveva bisogno di me e se mi ammalavo anch'io nostra figlia avrebbe avuto il carico di due genitori ammalati.
Dovevo reagire!
In questo mi ha aiutato il Signore, pian piano, con lui che riacquistava serenità ed io che famigliarizzavo con infermieri e degenti ho ritrovato la pace, quella interiore, quella che mi permette di dire che il reparto Alzheimer è la mia seconda casa. Contribuisce anche il fatto di vederlo sereno e sorridente, appena mi vede sorride, mi stringe la mano e ce ne scappiamo come due bambini su al bar a prenderci un ginseng. A volte mi siedo di fronte a lui e mentre ci teniamo per mano ascoltando le canzoni di Lucio Battisti mi accarezza il viso e questo mi basta e ringrazio il Signore che ci permette ancora di godere l'uno della presenza dell'altro.
Il mio Adolfo c'è, è come un bambino, ha bisogno di tutto, ma soprattutto di essere amato e lui capisce che io gli dono ogni giorno il mio cuore.
Quest'anno volevo che neppure il vostro Natale fosse turbato dal fatto che Adolfo è ricoverato, sappiate che ora è sereno ; il suo mondo ora gira intorno al reparto in cui è assistito, la mia presenza è giornaliera ( non saprei resistere senza vederlo ogni giorno), certo oggi come oggi posso dire che siamo riusciti a riportare una vittoria su questa terribile malattia: non ne siamo usciti sconfitti, ma abbiamo scoperto di avere in noi tanta di quella forza che possiamo regalarne a piene mani anche ad altri.
Siate sereni, passate bellissime feste con i vostri cari e regalate amore a piene mani
Noi tutti vi auguriamo un Natale sereno e vi abbracciamo con immenso affetto.